13 novembre 2010

 

 

- E’ da una vita che non scrivo una news, e mi dispiace di non aver trovato il tempo perché di argomenti, forse come mai in questo periodo, ne avrei avuti tantissimi. E’ un periodo nel quale mi sento particolarmente solo: mi sono sempre sentito solo, ho sempre avuto questa sensazione da quando sono nato. Non perché non ho persone con cui parlare o perché sia timido, tutto il contrario ma solo perché è davvero come se parlassi un’altra lingua e mi sembra che crescendo, invecchiando, questa sensazione aumenti di intensità. L’impressione è che le chiacchiere abbiano dei risvolti sempre più ipocriti, le conversazioni sempre più “di plastica”, “di cartone”, per cercare di proteggere grottescamente ciò che è semplicemente evidente, chiaro, lampante, indifendibile. Ognuno fa a gara per far credere la prossimo che va tutto bene e non si adopera per ciò che lo rende realmente felice ma per ciò che gli altri pensano dovrebbe farlo felice. Questo fenomeno in sé per sé non mi dispiacerebbe neppure più di tanto se solo avesse un fine. Mi disgusta invece quando questo meccanismo non viene neppure usato a nostro pro come per esempio per aumentare la cifra che il nostro direttore di banca ci potrà mutuare o per avere un aumento di stipendio, ma viene usato nei confronti delle persone che diciamo di amare o, peggio che mai, nei confronti di noi stessi.

Una persona che conosco, e che forse potrebbe leggere queste parole, pochi anni fa mi parlava animatamente di diffusori acustici. Ad un certo gli chiesi se valesse la pene di spendere tutta questa energia per una cosa che tutto sommato era marginale e che magari, forse era meglio andare via qualche giorno in camper. Mi rispose esattamente questo: “Te lo dirò solo una volta nella vita, ma darei fuoco a tutto, diffusori acustici, casa, lavoro pur di venire in camper ma non posso”. Non ebbi il coraggio di infierire e di chiedergli cosa glielo impedisse ma era più che lampante che la sua risposta avrebbe coinvolto inesorabilmente le solite cose che noi tutti ci raccontiamo per “gasarci” e per non sputarci da soli di fronte allo specchio: lavoro, “affetti”, casa, soldi, auto, vacanze ecc. ecc.

Comunque ieri, forse anche perché Autunno, mi sono permesso un lusso che ormai mi prendo purtroppo sempre più raramente: “perdermi fra la gente”. Mi sembrava di essere tornato a venti anni prima (un numero che fa paura solo a scriverlo) quando vagavo perso per Pisa appena dopo essermi trasferito da Piombino.

Poco prima, nel pomeriggio ero passato, in auto, in una parte della mia città che si chiama “Cittadella” e avevo osservato da lontano due barboni che più o meno di stavano cambiando di abito forse perché bagnati dalla pioggia. Così dopo circa due ore, un po’ inconsciamente e un po’ consciamente, visto che mi hanno sempre “affascinato” per non so quale strano motivo, mi sono trovato dalle loro parti. Avevo voglia di parlargli perché, devo dire purtroppo, mi ritrovo spesso nei loro pensieri, nelle loro vite anche se io ne faccio una completamente diversa. Quando però mi sono avvicinato ne ho anche avuto paura. Mi dovevo avvicinare senza né spaventarli né tanto meno mettendo in gioco la mia incolumità. Mi sono avvicinato letteralmente con le mani alzate dicendo che ero uno scrittore di un fantomatico libro dove si raccontavano storie di senza tetto (e non è detto che un giorno non ne scriva uno per davvero).

Ho trovato un ragazzo e una ragazza che si erano letteralmente accampati. Mi sono presentato e mi hanno invitato a sedermi su una cerata. Accetto. Mi piace sporcarmi e sono eccitato da questa accoglienza quanto mai benevola. Mi dicono che hanno 25 e 23 anni e questo mi stupisce perché ho incontrato pochi barboni così giovani.

Decido di fare lo “splendido” e così li chiedo se hanno problemi di droga. Rispondono molto titubanti. Lui risponde subito di sì abbassando gli occhi, lei nega.

Li osservo meglio e mi colpisce subito come sono vestiti. Sono vestiti “bene”, non avrei mai pensato che fossero senza tetto se li avessi visti per strada: piuttosto li avrei confusi per studenti appena scesi dal treno visto l’enorme valigia con le ruote che hanno. Li chiedo da quanto vivono sotto le stelle. La risposta è piuttosto confusa ma poi capisco questo: lei è da giugno che vive fuori ma un paio di settimane, per caso, alla stazione, ha rincontrato la madre che l’ha di nuovo accolta a casa ma non vuole anche il suo ragazzo. Così diciamo che lei fa la barbona part-time mentre lui purtroppo a tempo pieno. Il ragazzo è da molto che entra ed esce da casa, circa 5 anni. Mi dice infatti che ha conosciuto il padre solo 5 anni prima perché se ne era andato quando aveva 2 anni. Anche lui si “faceva” e come nei più classici dei racconti il ragazzo aveva sempre giurato e spergiurato che non si sarebbe mai fatto. Prima invece la fumava, poi la sniffava ma procurandogli  nausea ha deciso in iniettarsela…

Mi raccontano che prima dormivano nell’ultimo binario della stazione: binario 14, ma poi sono arrivate Le Forze Dell’Ordine, le multe ed era pericoloso “perché lì c’è gente ubriaca… ci sono un sacco di Polacchi…”.

Poi quello che non avevo previsto.  Lei esclama improvvisa: “dobbiamo farci  prima che vada a casa, ma davanti a lui?”. Quel “lui” ero io e così rispondo che non ci sono problemi. Non mi colpisce certo che lei si facesse ma che si sentissero comunque abbastanza a loro agio tanto da farlo davanti a me e questo, mi vergogno da morire ad ammetterlo, fa gongolare il mio ego perché mi fa capire che ho recitato bene la parte. Moralmente poi, non ho grandi problemi semplicemente perché non ho morale nel senso comune del termine, e magari un giorno scriverò una news per spiegarmi meglio: infondo con me o senza di me l’avrebbero fatto e basta. Mi dicono che a Pisa ci sono tantissime persone che si fanno di eroina, anche così detti insospettabili come commesse della via principale e che c’è una percentuale altissima; molto più alta che a Firenze per esempio che è molto più grande.

Non riesco a non trattenermi dal chiederli quanto si fanno e quanto costa. Mi dicono che si fanno 1 grammo in due, due volte al giorno. Costa 20 euro il grammo. Lui ha il braccio sinistro devastato e mi spiega che solo da l’altro ieri ha imparato a farsi nel braccio destro; usando quindi la mano sinistra. E’ diplomato e mi dice che prima “di farsi” aveva lavorato “nel sociale” (niente di così sconvolgente per chi conosce queste persone). Trovano i soldi più o meno facendo collette alle stazione ma ho paura di chiedergli di più per paura della risposta.

Lei è sempre titubante, si vergogna, un po’ come se dovesse fare la pipì di fronte ad un estraneo. Lui molto più sicuro.

Durante il nostro dialogare mi colpiscono in particolare due frasi.

La prima riguarda la risposta a una domanda diretta a lei circa cosa avesse provato esattamente la prima volta che ha spinto l’ago nella vena (cosa tutt’altro che naturale per qualsiasi fine si faccia). Lei alza un attimo lo sguardo e mi risponde: “Ho pensato che era davvero finita, ma finita per davvero”.

La seconda cosa che mi sono portato a casa, nel sonno, è invece stata una frase che mi ha detto il ragazzo: “La droga ci unisce. Sai quante volte ci saremmo mandati in culo e invece per farci ci siamo riavvicinati?”. Sono poco più che adolescenti, vestiti più o meno alla moda, apparentemente innamorati e invece mi appaiono forse, e dico forse senza retorica, più vecchi dei vecchi. Concludo il mio incontro con loro capendo che lei si buca da quando ha conosciuto lui e questo è stato il motivo per il quale all’inizio mi aveva detto che la sua compagna di casa, era “impazzita” e l’aveva sbattuta fuori da casa.

Torno a casa. Mi sento in colpa per avere un senso di felicità. Sono proprio un egoista. Felice perché? Perché non mi drogo ma riesco a vedere ed ascoltarli “immobile”. Non ho molto altro da dire tranne che forse li andrò a trovare un’altra volta se saranno ancora al solito posto: penso che abbiano ancora da dire.